La quiete del venerdì sera

Oggi venerdì tranquillo, ho stirato, cucinato, sono andata a correre. A volte ho l’impressione di passare un sacco di tempo a fare queste cose fondamentali e inutili come pulire il pavimento della cucina o stirare le gonne leggere. Se non lo faccio poi cosa mi metto quando devo uscire con i colleghi a bere birrette e fare attività di team building? Ma quanti minuti inutili si sprecano a combattere contro l’entropia e tenere a bada tutto: la cucina più o meno pulita, la doccia lavata, il pavimento senza polvere, le immondizie da mettere fuori il giorno che tocca, e poi le bollette, la busta paga, i paper.
Ho anche fatto un biglietto per tornare a casa, una settimana. Si parte martedì sera da Eindhoven. Questo giro solo bagaglio a mano. Staremo a vedere…

Bruiloft

Bruiloft vuol dire nozze.

Sì, sono stata invitata a nozze!

Siccome a noi ci piacciono le cose incasinate, sono stata invitata a 2 nozze. Che si svolgeranno nello stesso week-end. Una il venerdì sera e l’altra il sabato. Olè!

Ma andiamo con ordine.

Il matrimonio numero 1 è quello del mio collega K. Ora, il mio collega K. si meriterebbe un post a parte. Un capitolo nel libro della mia tesi di dottorato dal titolo “sociologia del laboratorio”. Quella che scriverò quando sarò uscita dal tunnel di questa. Ma non divaghiamo. Il mio collega K. si sposa con la sua bella, una ragazza con la quale sta assieme da 9 anni, convive da 2 e sta facendo la casa da 16 mesi. Evviva!

Il matromonio numero 2 è quello di due miei colleghi coristi, K. e D. soprano e tenore. Anche i miei colleghi coristi si meriterebbero un post a parte. Magari un giorno lo scriverò. Ho qui sul tavolo un pacco di fotocopie che sono i canti per la loro messa. Una messa di nozze di un’ora e mezza.

Nonostante tutte le interessantissime lezioni sul tema, che ci hanno allietato per i primi due mesi al corso di olandese, ancora mi sento carente in materia matrimoniale. Se ho più o meno un’idea di cosa succederà a grandi linee, sono i dettagli a mancarmi. E i dettagli, si sa, sono quelli che poi ti fregano.

Qui in Belgio il matrimonio religioso e quello civile sono separati. Prima ci si sposa “voor de wet” (= davanti alla legge) e poi ci si sposa “voor de kerk“. Prima si va in municipio, si firmano le carte, si beve un aperitivo offerto dal comune e si ritira un trouwboekje, un libretto dove verranno segnate le date di nascita dei figli, e poi, con l’attestato del sindaco in mano, si va in chiesa. Dopo la messa c’è una receptie, ovvero un pranzo seduto per de naaste familie, i parenti più prossimi. Poi c’è un secondo ricevimento, generalmente a buffet, nel quale si invitano invece anche gli amici e si balla. Sissignori, in un paese di timidi e generalmente imbacchettati abitanti, prima del taglio della torta gli sposi ballano. Cosa di preciso ancora non so, ma immagino qualche ballo lento.

Io, lo confesso, sto morendo di curiosità! E, confesso una seconda cosa, ho scoperto che i matrimoni mi piacciono. E non perchè mi danno una scusa per comprare un vestito nuovo o dei sandali rossi o per fare un salto dal parrucchiere (avete indovinato, queste cose non le faccio. Facendo mente locale stamattina mi sono resa conto che all’ultimo matrimonio a cui sono stata avevo un vestitino che comprai per caso a Reading in un pomeriggio di pioggia due anni prima, giusto perchè ero senza ombrello e in attesa del treno mi feci un giro tra i negozi, un paio di orecchini di mia sorella, una collana della mamma, e dei sandali e una borsetta rossa di mia zia Rosalba). Quello che mi piace, che mi diverte, è proprio l’idea in sè: la festa, le persone felici.

Al matrimonio dei coristi andremo, naturalmente, a cantare. Per inciso, emmenomale, chè un’ora e mezza di messa in olandese in religioso silenzio penso che avrebbe fiaccato discretamente il mio entusiasmo. Al matrimonio del collega solo alla parte danzante.

E qui cominciano i dolori, nel senso che, appresa la scaletta di massima… come funziona tutto il resto? In altre parole: cosa significa che si balla? Cosa si balla? Come? E non mi venite a dire che “no, ma non è obbligatorio” perchè lo so da sola che nessuno si aspetta che la prozia inferma si lanci nel charleston di mezzanotte. MA. Insomma, se bisogna partecipare bisogna partecipare! E come ci si veste? Fatta la tara alle solite paranoie femminili a cui si sommano le solite paranoie mie personali, be’, magari ci sono delle regole implicite che ignoro. Per esempio, lo sapete tutti, immagino, che ai matrimoni inglesi si Deve rigorosamente indossare un cappello. Non sto scherzando, non è una di quelle baggianate da film, no no no, è tutto vero. Ricordo che quando dissi al mio amico J. che ero alla ricerca di un vestito per le nozze di una mia amica e non potevo riciclare il precedente, mi suggerì per l’appunto di cambiare il cappello (“that’s my grandma strategy”). Quando gli confessai che in Italia quasi nessuno lo mette mi guardò sinceramente incuriosito. Quanto al regalo. Come usa? Nelle ultime partecipazioni che ho ricevuto c’era un numero di conto corrente. Ora, per me non c’è nessun problema a fare un versamento in conto, figurarsi. MA. Magari è considerato poco bello. Qui la lista di nozze, mi par di capire, non si usa tanto. E onestamente farei sul serio fatica a pensare ad un oggetto che i diretti interessati possano trovare utile/interessante/bello senza una lista. E nemmeno finanziare il viaggio di nozze pare un’opzione. Insomma, come ci si regola?

Provate voi a chiedere lumi ai locali! Quello che vi sentirete rispondere sarà, nove volte su dieci, “oh, è un matrimonio normale, si fa tutto normalmente“. Più o meno la stessa risposta che ebbi quando chiesi come si fa il caffè. “Oh, si compra un caffè normale al supermercato e poi lo si mette in una macchinetta normale…”

La vera sfida del dialogo interculturale, in definitiva, si gioca sulle piccole cose, quelle che ti spalancano davanti all’improvviso le distanze che non immaginavi. Perchè se ormai non facciamo più troppa fatica ad immaginare che qualcuno possa trovare deliziosa la pizza con l’ananas a fettine, scoprire che nessuno dei vostri 32 colleghi sa cosa sia una moka riesce a farvi sentire decisamente spaesati.

Ma ho due mesi per imparare tutto. Nel frattempo, viva gli sposi!

Wimpersextensions

Sono una cosa che non immaginavo potesse esistere. E invece!

Si tratta, nientemeno, che di ciglia finte. Ma non di quelle che si incollano la sera e si staccano quando si torna a casa la mattina presto (presumo), bensì di una soluzione permanente che, a sentire la pubblicità, vi farà essere sempre belle e a posto.

Tra i milioni di cose superflue di cui ci potremmo circondare, questa non l’avrei mai immaginata.

Ogni tanto mi chiedo quale ossessione sembri avere la nostra società occidentale per la peluria: da un lato dobbiamo estendere, prolungare, dall’altro far sparire, perchè il mezzo centimetro di peli sui miei polpacci è considerato non solo esteticamente sgradevole, ma socialmente inaccettabile, molto peggio di una ascella pezzata.

Ma forse io, che ho fastidio persino a mettere il mascara, che dopo una mezzora sta da tutt’altra parte rispetto a quella dove l’avevo messo io, non faccio testo…

Cose che danno tutta un’altra luce al lunedì

Arrivare in ufficio e trovare nella casella di posta una mail del mio capo.

In risposta ad una mia mail spedita il venerdì prima di andare a casa. Una mail in cui, scusandomi per l’olandese pasticciato, mi impegnavo a fare una proposta per “migliorare la produttività” (ok, ok, non ridete. A me non fa ridere proprio per niente, ma immagino che se il mio capo va poi ad una riunione di capi con un sovra-capo e può esibire i dati che dicono che tutti nel suo gruppo hanno fatto almeno una proposta, be’ evidentemente questa cosa avrà il suo peso. Sono quelle cose che tra capi si confrontano. Come guardare chi ha l’orologio più caro, o la macchina più figa).

La mail del mio capo esordisce con un laconico Grazie.

Seguito però da una frase buffissima : “Het Nederlands is voortreffelijk!”

Siccome sono curiosa chiedo a Luc, senza spiegare il contesto, cosa significhi. Mi risponde, immedaitamente, senza pensarci due volte, con una definizione chiarissima, “uitzonderlijk goed”, che suona più o meno come “eccezionalmente buono”.

Confesso, scusate il momento di sbruffonaggine: mi sono sentita ganza.

Anche se poi all’esame non sono riuscita a ricordare come si dicesse “stacca la spina dalla presa, durante il temporale” (per la cronaca, nel caso qualcuno se lo stesse domandando, è “haal de stekker van het stopcontact uit, als het omweert!”).

E domani è un altro giorno…

Prove di dialogo

Una delle cose che stupidamente mi mettono più allegria sono le manifestazioni spontanee di simpatia e entusiasmo dei belgi.

Come dice il mio libro, e come direbbe Natalino Balasso, “essi Belgi sono un pochino serài”, een beetje gesloten. Ma naturalmente tutto sta a trovare la chiave.

Una di queste chiavi è, ça va sans dire, la lingua. Un po’ perchè magari non tutti si sentono molto sicuri di sè e parlare una lingua straniera con una straniera è ancora più destabilizzante. In parte anche perchè il desiderio, lo sforzo di imparare la lingua lo percepiscono come un enorme passo verso di loro.

Così oggi stavo cercando di convincere D. a parlarmi in olandese, cosa non facile, visto che abbiamo cominciato a parlarci in inglese e cambiare lingua è un po’ come  doversi ricominciare a conoscere da zero, percepisco sempre un leggero imbarazzo. Subito mi ha detto che sì, lo parlavo già bene, ma questa tiritera ormai mi ha stancata anche un po’. Ce l’ha fatta fino al building 120, abbiamo chiacchierato un po’, mi ha parlato delle membrane e dei loro studi. E poi ad un certo punto è tornato a galla l’inglese.

Ci ho riprovato con W., con il quale ho sempre avuto rapporti per iscritto, per cui mi dava l’idea che fosse più facile ricominciare in olandese. Gli ho scritto questa buffa e-mail che esordiva con gli auguri di buon anno e chiedeva lumi sui risultati di certe misure e mi sono vista arrivare una risposta che suonava incredibilmente entusiasta, di quelle con tre punti esclamativi (uitroeptekens). Se non li conoscessi direi che sono un popolo estremamente espansivo! A volte mi piglia il sospetto che si lascino andare particolarmente con me perchè tanto sono straniera e con me probabilmente non suona strano.

Poi c’è K., sul quale dovrei scrivere un capitolo a parte. K. che ha impiegato una vita ad accettarmi come parte del suo mondo. K. che, come avevo immaginato, quando si è sbloccato mi è venuto a raccontare fatti suoi che secondo me non racconta nemmeno ai colleghi. K. che incrocio in corridoio ieri e al quale chiedo “vai a fumare?”, che mi risponde alzando il mento e poi aggiunge con un inaspettato sorriso “vuoi venire?”. Al che io non riesco a trattenermi, scoppio a ridere e vorrei dirgli che ci sono meno otto gradi fuori, e la neve e che ho altro da fare e cosa ci faccio lì accanto a lui che fuma in un prevedibile silenzio e soprattutto cosa cavolo dovrebbe significare questo invito? Perchè gli inviti qui mica sono a caso, eh! “ma io non fumo!” “non importa, vieni per compagnia”.

Ecco, per compagnia. Ho avuto un dejà-vu.

E ho pensato che forse è questo che dovrei fare nella vita: cercare la chiave.

La neve!

Quassù nevica. Aveva ragione il mio libro di olandese a volerci insegnare tutti i termini relativi al maltempo!

Ieri pomeriggio verso le quattro l’ansia sottile e silenziosa dei Belgi si è impossessata anche dei miei colleghi e c’è stato un discreto fuggi fuggi generale.

Tutto ciò faceva presupporre una perfetta organizzazione nell’affrontare la nevicata oggi. Macchè! E’ questo il mio terzo inverno qui e per la terza volta ho sentito ripetere la frase “siamo abituati alla neve, ma non ce ne aspettavamo così tanta“. Poi la solita tiritera di autobus in ritardo o meglio ancora soppressi e pellegrinaggi verso il luogo di lavoro a passo d’uomo.
In realtà io la prendo con filosofia perché penso che la neve quando viene viene. E non serve agitarsi tanto per dei rischi ipotetici, partire dal lavoro un’ora prima per arrivare a casa sani e salvi e poi… non spargere il sale sulle strade!

Quando ieri sera ha cominciato a cadere la neve e si sentiva nell’aria questo strano silenzio, un silenzio più denso e completo del normale, io sono stata presa dalla solita mezza euforia dei bimbi. Non lo so perchè, ma essere in camera in pigiama a fissare fuori dalla finestra i fiocchi di neve svolazzare qua e là mi trasmette sempre una sensazione di meraviglia. Come l’attraversare per prima stamattina il parcheggio coperto di neve, e vedere solo le mie impronte affondare in questa coperta bianca enorme.

O forse è la solitudine che acutizza certe sensazioni.

Dat zal het zijn!

E questo è quanto.

Dopo una giornata di ripasso, con i paradigmi irregolari, le -e in fondo agli aggettivi, i vocaboli sul maltempo e sui vari problemi domestici (noto con piacere che le varie aree semantiche del mio corso di olandese sembrano seguire di qualche mese le mie esigenze pratiche), la descrizione dell’aspetto esteriore e del carattere e le attività del tempo libero e le tipicità belghe, adesso me ne andrò a letto felice.

Vedremo domani come va questo test.

Che poi alla fine la conoscenza della lingua conta fino ad un certo punto. Quel che conta è anche capire cosa chi ha concepito il test si aspetta.

Baci e abbracci

Ho scoperto che ci sono due occasioni nelle quali i Belgi si salutano con un bacio: il compleanno e gli auguri per il nuovo anno.

Io ignoravo.

Cosi` quando sono rientrata al lavoro l’altro giorno ho semplicemente annunciato “Goede morgen en gelukkig Nieuwjaar”. Avevo colto qualcosa di strano nell’osservare come fossero tutti molto solleciti nel venirmeli a fare di persona, questi benedetti auguri.

Solo a pranzo il mistero si e` svelato e ho capito che a capodanno, in Belgio, Ci Si Bacia. Ho fatto tutto sbagliato per tutta la mattina!

Anzi, a posteriori mi rendo conto di avere sbagliato tutto anche con i compleanni, perche` io non ho baciato mai nessuno (tranne quella volta in cui Michel entro` e disse esplicitamente “oh, Anna, eccoti qua! Che da una bella ragazza un bacio lo voglio”). Obbediente al motto “guarda e impara” me ne stavo sulle mie. Si scopre ora che invece no, le donne si baciano e baciano a loro volta. Il fatto di essere pochissime non aiuta, visto che io guardavo sempre cosa facevano i miei colleghi e baci non ne ho visti.

Insomma, pare tutto facile e invece e` tutto complicatissimo sempre! L’unica volta che mi potevo avvicinare per dare un insulso bacio senza vedere il panico negli occhi altrui me la sono persa!

Rientro dickensiano

Quando sono arrivata ieri mattina il cielo era bianco. Ma non per dire. Proprio bianco fisso. Niente vento, niente nuvole che corrono, niente pioggia, se non quell’acqua che sempre ti cade addosso.

Mentre camminavo verso la banca mi stupivo di come trovassi tutto silenzioso. C’era gente in giro, i negozi aperti, la musica che usciva dalle porte spalancate. Eppure mi pareva tutto silenzioso. Devo ancora capire quanto questo silenzio che sento attorno è dato dal fatto che IO non parlo con nessuno e sono silenziosa.

Mentre camminavo verso la banca, dicevo, ho incrociato la mia maestra. La mia maestra è bravissima, bellissima e buonissima. Quando mi ha visto mi è venuta incontro e mi ha baciata (cosa che mi è parsa assurda, ma che oggi si è infine illuminata di senso) mentre rideva mostrandomi le borse dello shopping.

Mentre me ne tornavo dalla banca sono passata davanti alla strada dello studentato. Ero lì, con la mia bicicletta per mano, quando ho avuto uno di quei momenti in cui si percepisce nettissimo il senso dello scorrere del tempo. E mi è tornato in mente il 7 gennaio di due anni fa, appena arrivata a Turnhout.

Oh, se me lo ricordo!

Arrivai nel pomeriggio, da Charleroi. Il tempo era grigio e freddo. Scesi alla fermata in piazza, quella che fu soppressa due mesi dopo, cosa che interpretai come un chiaro segnale che era ora me ne andassi dallo studentato. Appena scaricata la valigia sentii la pioggerellina fastidiosa a cui mi sono abituata infilarsi dappertutto. Uno di quei momenti (e me ne sono capitati un sacco) in cui il pensiero che mi si forma in mente è uno solo e chiarissimo: sei da sola e non c’è nessuno con cui dividere questa fatica, quindi prendi in mano le tue cose e comincia a camminare.

Arrivai in studentato così, con il solito magone da rientro. Anche perchè, parliamoci chiaro, lo squallore del posto in cui stavo era sufficiente a fiaccare qualsiasi entusiasmo. Non conoscevo praticamente nessuno, tranne i due ragazzi con cui ero andata a bere un tè prima di Natale. Infilai la chiave nella toppa della porta esterna. E la porta non si aprì. Ci riprovai. Niente da fare. Confesso che in quel momento ebbi un moto di stizza. Non era rabbia o disperazione, era proprio fastidio. Come se le cose non fossero già abbastanza complicate! mi dicevo. Non ricordo ora bene come, ma alla fine entrai. Alla fine si combina sempre.

Mi sembra passato un secolo.

Dell’anno scorso non ricordo molto, faccio fatica a mettere a fuoco. Tornavo in una casa bella, questa volta. La mia. Non avevo un calendario nuovo da appendere in sala. Non avevo un sacco di cose. Ora non ricordo troppo bene.

Quest’anno è andata diversamente. C’è stata, nettissima, la sensazione di essere arrivata in un luogo altro. Inutile negarlo, non ero più in Italia. Ma insieme anche la sensazione che ci sia qualcosa, molto più di qualcosa, di me qui. Qui ci sono io che mi misuro con me stessa. Qui ci sono io da sola. Qui ci sono io che tutte le cose che ho, dalla lavatrice all’alberello di Natale da smontare, me le sono prese da sola e con il suo (bello) sforzo.

E il prossimo sette gennaio? Dove sarò? A fare cosa? Me lo domando e non ci penso neppure troppo. Per ora va bene così.

Buon Anno!

No, non sono tornata in Italia.

O meglio, in questo preciso momento sì, sono nel salotto di casa dei miei genitori (ha senso dire “di casa mia”? Non lo so più bene). In Italia.

Sono qui che guardo l’orologio e penso a cosa starò facendo tra una settimana. Già pranzato da un’ora e mezza. Tentando di rimettere in moto il lavoro di laboratorio. Il tempo che sarà come qui ora (pioggerellina leggera e interminabile, non troppo freddo).

E insomma, che questo 2013 sia bello. Che il mio esame di olandese vada bene. E tutto il resto possibilmente anche! No, niente liste di buoni propositi.

Tranne l’impegno a dare ogni tanto una spolverata a queste pagine, che non facciano troppe ragnatele.