Bruiloft vuol dire nozze.
Sì, sono stata invitata a nozze!
Siccome a noi ci piacciono le cose incasinate, sono stata invitata a 2 nozze. Che si svolgeranno nello stesso week-end. Una il venerdì sera e l’altra il sabato. Olè!
Ma andiamo con ordine.
Il matrimonio numero 1 è quello del mio collega K. Ora, il mio collega K. si meriterebbe un post a parte. Un capitolo nel libro della mia tesi di dottorato dal titolo “sociologia del laboratorio”. Quella che scriverò quando sarò uscita dal tunnel di questa. Ma non divaghiamo. Il mio collega K. si sposa con la sua bella, una ragazza con la quale sta assieme da 9 anni, convive da 2 e sta facendo la casa da 16 mesi. Evviva!
Il matromonio numero 2 è quello di due miei colleghi coristi, K. e D. soprano e tenore. Anche i miei colleghi coristi si meriterebbero un post a parte. Magari un giorno lo scriverò. Ho qui sul tavolo un pacco di fotocopie che sono i canti per la loro messa. Una messa di nozze di un’ora e mezza.
Nonostante tutte le interessantissime lezioni sul tema, che ci hanno allietato per i primi due mesi al corso di olandese, ancora mi sento carente in materia matrimoniale. Se ho più o meno un’idea di cosa succederà a grandi linee, sono i dettagli a mancarmi. E i dettagli, si sa, sono quelli che poi ti fregano.
Qui in Belgio il matrimonio religioso e quello civile sono separati. Prima ci si sposa “voor de wet” (= davanti alla legge) e poi ci si sposa “voor de kerk“. Prima si va in municipio, si firmano le carte, si beve un aperitivo offerto dal comune e si ritira un trouwboekje, un libretto dove verranno segnate le date di nascita dei figli, e poi, con l’attestato del sindaco in mano, si va in chiesa. Dopo la messa c’è una receptie, ovvero un pranzo seduto per de naaste familie, i parenti più prossimi. Poi c’è un secondo ricevimento, generalmente a buffet, nel quale si invitano invece anche gli amici e si balla. Sissignori, in un paese di timidi e generalmente imbacchettati abitanti, prima del taglio della torta gli sposi ballano. Cosa di preciso ancora non so, ma immagino qualche ballo lento.
Io, lo confesso, sto morendo di curiosità! E, confesso una seconda cosa, ho scoperto che i matrimoni mi piacciono. E non perchè mi danno una scusa per comprare un vestito nuovo o dei sandali rossi o per fare un salto dal parrucchiere (avete indovinato, queste cose non le faccio. Facendo mente locale stamattina mi sono resa conto che all’ultimo matrimonio a cui sono stata avevo un vestitino che comprai per caso a Reading in un pomeriggio di pioggia due anni prima, giusto perchè ero senza ombrello e in attesa del treno mi feci un giro tra i negozi, un paio di orecchini di mia sorella, una collana della mamma, e dei sandali e una borsetta rossa di mia zia Rosalba). Quello che mi piace, che mi diverte, è proprio l’idea in sè: la festa, le persone felici.
Al matrimonio dei coristi andremo, naturalmente, a cantare. Per inciso, emmenomale, chè un’ora e mezza di messa in olandese in religioso silenzio penso che avrebbe fiaccato discretamente il mio entusiasmo. Al matrimonio del collega solo alla parte danzante.
E qui cominciano i dolori, nel senso che, appresa la scaletta di massima… come funziona tutto il resto? In altre parole: cosa significa che si balla? Cosa si balla? Come? E non mi venite a dire che “no, ma non è obbligatorio” perchè lo so da sola che nessuno si aspetta che la prozia inferma si lanci nel charleston di mezzanotte. MA. Insomma, se bisogna partecipare bisogna partecipare! E come ci si veste? Fatta la tara alle solite paranoie femminili a cui si sommano le solite paranoie mie personali, be’, magari ci sono delle regole implicite che ignoro. Per esempio, lo sapete tutti, immagino, che ai matrimoni inglesi si Deve rigorosamente indossare un cappello. Non sto scherzando, non è una di quelle baggianate da film, no no no, è tutto vero. Ricordo che quando dissi al mio amico J. che ero alla ricerca di un vestito per le nozze di una mia amica e non potevo riciclare il precedente, mi suggerì per l’appunto di cambiare il cappello (“that’s my grandma strategy”). Quando gli confessai che in Italia quasi nessuno lo mette mi guardò sinceramente incuriosito. Quanto al regalo. Come usa? Nelle ultime partecipazioni che ho ricevuto c’era un numero di conto corrente. Ora, per me non c’è nessun problema a fare un versamento in conto, figurarsi. MA. Magari è considerato poco bello. Qui la lista di nozze, mi par di capire, non si usa tanto. E onestamente farei sul serio fatica a pensare ad un oggetto che i diretti interessati possano trovare utile/interessante/bello senza una lista. E nemmeno finanziare il viaggio di nozze pare un’opzione. Insomma, come ci si regola?
Provate voi a chiedere lumi ai locali! Quello che vi sentirete rispondere sarà, nove volte su dieci, “oh, è un matrimonio normale, si fa tutto normalmente“. Più o meno la stessa risposta che ebbi quando chiesi come si fa il caffè. “Oh, si compra un caffè normale al supermercato e poi lo si mette in una macchinetta normale…”
La vera sfida del dialogo interculturale, in definitiva, si gioca sulle piccole cose, quelle che ti spalancano davanti all’improvviso le distanze che non immaginavi. Perchè se ormai non facciamo più troppa fatica ad immaginare che qualcuno possa trovare deliziosa la pizza con l’ananas a fettine, scoprire che nessuno dei vostri 32 colleghi sa cosa sia una moka riesce a farvi sentire decisamente spaesati.
Ma ho due mesi per imparare tutto. Nel frattempo, viva gli sposi!